L’unità della Chiesa


Osios-Porphyrios-symvoules-gia-ygeiaInoltre il padre reagiva fortemente a qualunque tentativo di creare fazioni e scismi all’interno della Chiesa, considerandoli un’amputazione e divisione del Corpo intero di Cristo. Desiderava che il progresso della vita sociale cristiana si realizzasse nella purificazione delle persone che erano unite con la Chiesa, in modo visibile o invisibile, e non staccate da essa. Ci sottolineava che Cristo, nella Sua preghiera prelatizia poco prima della Passione, aveva pregato intensamente il suo Padre celeste per l’unione dei cristiani, attraverso il legame del Suo amore nella sua indissolubile Chiesa.

Era il primo pomeriggio del Giovedì Santo dell’anno 1979. Ero rimasto solo per riflettere meglio sul significato di quel grande giorno. Ad un certo punto mi sono ricordato di padre Porfirio. Il mio sguardo era fisso sul telefono e avevo un gran desiderio di parlare con lui. “Ma dove posso trovarlo, ho pensato, in un giorno come oggi?” O forse è stato lui a venirmi in mente e a chiamarmi segretamente? Avevo trovato il numero di telefono della casa in cui si nascondeva dalla folla, per trascorrere i pochi giorni della sua convalescenza dopo i suoi ultimi problemi di salute. Facendomi il segno della croce ho chiamato il numero. Immediatamente, all’altro capo della linea si è sentita chiara e tenera la voce del padre. Dio ha voluto così. Il nostro discorso è stato una catechesi piena di compunzione che è durata più di un ora. Ascoltavo le sue parole come una terra secca che riceve la pioggia. Cercavo di capirlo, per quanto fosse possibile, esprimendo anche i miei pensieri, ricordando sue frasi dette in passato, collegando tutto: è stato un dialogo vivo che mi ha dato grande sollievo e mi è sembrato che piacesse molto anche al padre. Perché, ad un certo punto, mi ha detto: “Eh, figlio mio benedetto, vedo che tu ricordi tutto, però non lo devi scrivere, non devi dire queste cose. Ma non capisco che cosa mi succeda quando sei con me, chiacchiero tanto e non voglio più fermarmi. Ci attraiamo a vicenda. Noi due ci assomigliamo”.

Queste sue parole mi hanno commosso ma, più di tutto, è stata la sua ultima frase a sorprendermi. Mi sono chiesto: “Ma è possibile che io assomigli al padre? Che cosa può avere in comune la notte con il giorno, l’acqua fredda, che sta ghiacciando, con l’acqua calda che sta bollendo?” Il padre però non era solito fare complimenti. Quello che diceva era la verità. Col passare del tempo, ho trovato una risposta ragionevole a queste mie domande, pensando che, con quelle parole, il padre aveva voluto dire che ci assomigliavamo nel carattere innato, senza per questo negare che non fossimo distanti come la terra e il cielo riguardo alla valorizzazione delle nostre doti innate. Il padre era arrivato alla maturità della santità, mentre io, vicino a lui, sembravo un “bambino cresciuto”, responsabile della sua spiritualità infantile. Per questo motivo questa sua constatazione mi ha dato più preoccupazione che gioia. Il padre apparteneva a quelli che avevano ricevuto i cinque talenti e, lavorando, ne avevano guadagnati altri cinque, mentre io avevo nascosto profondamente sotto terra l’unico talento ricevuto.

In quella indimenticabile conversazione telefonica il padre mi ha parlato anche di tante altre cose. In particolare ricordo le parole che ha pronunciato con un leggero lamento, ma anche un amore ardente per Cristo: “Sono ammalato, sono a letto. Vorrei tanto, in questo grande giorno, poter andare in chiesa per sentire la funzione della Passione di nostro Signore. Soprattutto vorrei sentire il Vangelo di Giovanni, dove Cristo prega Suo padre per tutti i Suoi fedeli: “che diventino tutti una cosa sola, come tu, padre, vivi in me, ed io in te”. Se tutti noi avessimo potuto vivere quest’unione di Cristo con suo Padre, non avremmo avuto oggi i disaccordi e le divisioni dentro alla Chiesa, ma saremmo stati tutti una cosa sola, fratelli in Cristo.

Vicino a Padre Porfirio. Un suo figlio spirituale racconta

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